martedì 26 novembre 2013

9. Frijoles con mezcal y gusano


Questa ricettina la vorrei dedicare a Angie
Non ho nessun elemento per dire che potrebbe piacerle;
diciamo che mi piace pensare che le piaccia. That's all.

Ingredienti per 1 persona:

- La padellaccia di casa più rotta, scalcagnata e bisunta che avete
- 1 cucchiaio di legno abbastanza cavo da poterci anche mangiare
- 2 scatole di fagioli rossi messicani (ora si trovano facilmente al supermercato)
- 1 striscia di carnesecca con poco grasso, alta circa mezzo dito
- 4 pezzetti di peperoncino fresco molto forte (Habanero, Trinidad Moruga, Carolina...)
- 3 bicchierini di mezcal, scelto accuratamente di quello "con gusano"
- Il suddetto gusano (v. ricetta)
- 1 ciuffetto di timo
- Olio e sale q.b.

Questa qui è una ricettina non per tutti i gusti, ammesso che anche le altre che do lo siano. Basilarmente appartiene alle mie ricette "antiche", nel senso che la inventai parecchi anni fa quando stavo ancora a Livorno e mi era capitata in casa, non mi ricordo come, una bella bottiglia di mezcal con gusano. Poco tempo prima avevo visto uno dei film di "Trinità", con Terence Hill e Bud Spencer; in una scena nella classica osteriaccia messicana, uno mangia una padellata di fagioli (un classico) chiede all'oste: "Mezcal!"; da qui mi venne l'idea. Avvertenza: per essere filologicamente esatto, questo piatto deve essere mangiato direttamente dalla padellaccia e col cucchiaio di legno. Sennò non sa veramente di una sega.

Il nome del mezcal viene, ovviamente, dalla lingua náhuatl: significa, alla lettera, "agave cotto". Come il tequila, si divide in blanco (giovane), reposado (da 2 mesi a 1 anno) e añejo (oltre 1 anno); per questa ricetta scegliete il reposado. Col blanco viene male, e l'añejo costa una saraccata. Va scelto di quello "con gusano"; gusano in spagnolo vuol dire "verme", ma in realtà si tratta della larva di un coleottero, che aromatizza il mezcal. Si chiama scypophorus acupunctatus, ma a volte si usano le larve di un terribile parassita dell'agave, la hypopta agavis. E' il cosiddetto "gusano rojo", che è ritenuto più pregiato. Si tratta di un chiaro esempio di vendetta: lui parassitizza l'agave, e allora viene infilato a macerare nel mezcal. Ben gli sta. Tanto, comunque, in questa ricetta ve lo dovete mangiare nei fagioli.

Prendete appunto i tre bicchierini di mezcal, versateli in un bicchiere più capiente e infilateci i pezzetti di peperoncino e il ciuffetto di timo un po' mondato; il gusano lo tirate fuori dalla bottiglia, invece, e lo tagliate a pezzettini con una lametta da barba (viene meglio); poi lo rinfilate nel mezcal assieme al timo e al peperoncino. Come dose di quest'ultimo, se usate le qualità indicate, ho indicato 4 pezzetti; col Trinidad Moruga Scorpion e col Carolina sono sufficienti per morire tra atroci sofferenze. Se però volete morire ancora più atrocemente, mettetecene pure di più e pensate a me mentre trapassate maledicendomi.

Nella padellaccia scalcagnata e bisunta, mettete diciamo un cucchiaio d'olio; basta e avanza. Nel frattempo avrete preso la carnesecca magra e la avrete fatta a dadini piccoli; quando l'olio è caldo, buttateli in padella e mestate per un minuto o due. Sarà quindi venuto il momento di versarci i frijoles tenendo il loro sugo, che va fatto tirare un po; salate il tutto girando sempre, e mettendo la fiamma a fuoco lento. 

Giunge finalmente il fatidico momento di infilarci il mezcal coi suoi compagni di strada (timo, peperoncino e gusano spezzettato). State attenti perché se vi siete dimenticati del fuoco lento potrebbe farvi una fiammata, il mezcal è più o meno simile alla benzina. Nonostante il suo nome, però, non contiene affatto mescalina, e quindi non ha poteri psichedelici; non ci potete fare il "latte più" di Arancia Meccanica, insomma. La mescalina, per la cronaca, sta nel peyote.

Dovrà passare solo un minutino da quando spegnete il tutto e cominciate a pappare; il timo non si deve "cuocere", il gusanito deve fare ancora "scrunch", il peperoncino deve essere ancora un po' freschiello e il mezcal non deve evaporare, ma amalgamarsi al sughetto dei frijoles. Presuppongo che abbiate un tavolaccio di legno, sul quale avrete posto la bottiglia del mezcal, un bicchiere di metallo e basta. Pigliate la padellaccia, il mestolo di legno e mangiate direttamente dalla padella. Naturalmente vi pulirete la bocca rigorosamente con le maniche oppure, se è d'estate, direttamente sul braccio. 

Alla fine, tra fagioli, baco, peperoncino e mezcal, sarete ridotti a dei conci briachi fradici e sporchi di sugo; siete pronti, e pronte, a fumarvi un bel sigaro puzzolente. Consiglio caldamente questa ricetta alle signore incazzate nere per qualche motivo, tipo aver visto la Boldrini in televisione. Tirare anzi la padella vuota sul televisore sarà segno di grande apprezzamento del cybo. Buon appetito.  


mercoledì 23 ottobre 2013

8. Polpette della rapinatrice (Robber's Meat Balls)


Ingredienti per 1 persona:

- ca. 400 g di carne macinata (di manzo o di maiale, a scelta)
- 100 g di mortadella tagliata in una sola fetta
- 200 cl di latte
- 2 uova fresche
- tozzi vari di pane duro
- 1 ciuffo di prezzemolo
- pangrattato q.b.
- un bicchierino di tequila
- noce moscata in polvere
- sale
- olio per friggere

Si chiama così, questa ricettina, perché me la ha insegnata una carissima amica (praticamente una sorella) che si è fatta svariati anni di galera per un'altrettanto svariata serie di rapine in banca. Garantisco che si tratta delle polpette più buone al mondo: anche perché, se non lo dico, c'è il caso che la suddetta mi spari. E lo sa fare.

In una bacinella versate il latte freddo, poi metteteci a inzupparsi il pane duro. Se ha ancora la crosta, verificherete poi se si è inzuppata bene e è diventata morbida; sennò, levatela e buttatela via.

In un altra bacinella mettete la carne macinata; prendete la mortadella, fatela a pezzetti e poi tritatela con la mezzaluna. Quando lo avrete fatto (evitando, come il sottoscritto, di piluccare pezzetti di mortadella e mangiarseli; guardate che poi non ne rimane!), mettetela assieme alla carne macinata. Sbattete le due uova, salate e versate il tutto nel trito; indi di poi lavoratelo con le mani per un paio di minuti finché non si sarà amalgamato bene.

A questo punto vi sarete introiati come un porcile, ma siamo solo all'inizio. Spostate le vostre linde manine nella bacinella col pane inzuppato nel latte, controllate che non vi siano croste dure e lavorate pure questa roba qua, finché non sarà diventata una pappina molliccia, e non si vedrà più manco una goccia di latte sul fondo. Mettete la pappina nel trito di carne e uova, aggiungete ancora un po' di sale, il prezzemolo che avrete in precedenza tritato, tre cucchiaini di noce moscata e il bicchierino di tequila; poi ricominciate implacabilmente a lavorare il composto con le mani finché non sarete talmente zozzi da fare schifo anche a vs. madre.

In una capiente padellona antiaderente, buona all'occorrenza anche come micydiale arma contundente da applicare ripetutamente sul capo dell'agente Eqvitalia che vi bussa all'uscio con una cartella esattoriale, preparate l'olio per friggere; qui va bene anche quello di semi (mais o girasole), perché per friggere bene ci vuole un litro intero d'olio. Qui non ci sono cazzi, figliuoli e figliuole: se volete risparmiare olio, non friggerete mai una sega che vi porti.

Disponete il pangrattato, col quale naturalmente assumerete un aspetto che farebbe scappare anche Béla Lugosi, e cominciate a formare le polpette col composto: delle palle di media grandezza, né troppo piccole, né troppo grosse. Passatele sul pangrattato e disponetele via via in un vassojo o in qualcosa che le contenga. Una volta completata tale pallosissima operazione (non per niente si formano delle palle!), fate scaldare bene l'olio e cominciate a friggere le polpette (le quali dovranno essere sommerse: quindi non stipate la padella, e fate delle mandate di frittura). 

Una frittura ammodino delle polpette della rapinatrice dura circa 3/4 minuti, se le dimensioni indicate per ogni palla sono state rispettate.  Si accompagnano bene con un prezioso vino rosso del discount, tipo i soliti Nero d'Avola o Primitivo di Manduria (che, in casi del tutto eccezionali, possono anche essere prodotti a Avola e a Manduria), ma va bene anche la birra e non è certo da disdegnare una caraffa d'acqua del rubinetto bella fresca.

domenica 20 ottobre 2013

7. Croste di parmigiano fritte nell'olio


Ingredienti per 1 persona:

- Croste di parmigiano a volontà
- Olio di oliva
- Padella antiaderente

Con le croste di parmigiano fritte nell'olio siamo alla mia mitologia personale. Qui non si tratta di una "ricetta", ma all'essenza stessa della mia vita: è la cosa da mangiare per la quale io vado più matto, e a livelli inimmaginabili. Fin da bambino le contendevo in casa, e guai sia pure a paventare di grattugiare le croste rimaste: dovevano essere messe da parte e fritte. Arrivavo a leticate furibonde coi miei, e non c'era nulla da fare: non serviva il "puzzo che facevano in cucina", non serviva il fatto che "facessero male" (boh) e quant'altro. Al giorno d'oggi, certi supermercati hanno preso la benemerita abitudine di metterle addirittura in vendita a sacchettate, ancora belle "caciose" (come devono essere); ad esempio la Coop di via Salvi Cristiani, a Firenze. La ricetta è invero semplicissima, anche se ha bisogno di qualche accorgimento o suggerimento da parte di un esperto; vi do quindi il benvenuto nel club delle Croste Fritte. Sappiate che non ve ne pentirete, cari i miei Asociali; e ricordate il principio fondamentale. Una volta pronte, le croste fritte non si dividono con nessuno. Gli stessi che, mentre le preparavate, "bubavano" in continuazione, saranno i primi a "chiedervene un pezzetto". Col cazzo! Per questo motivo, le croste fritte sono, "par excellence", il piatto Asociale per antonomasia. Fatevele da soli, sempre, e non "condividetele" con altri esseri umani.

Le croste, nella versione più "urbana", anderèbbero un po' ripulite in superficie, grattandole con un coltello seghettato; nella versione "brutale", quella che ovviamente preferisco, invece non si grattano affatto. Si mangiano luride così come sono, maneggiate, mantrugiolate. Tranquilli che non morite; sono cinquant'anni che le mangio così, e non fate tanto gli schifiltosi.
In una padella antiaderente mettete abbondante olio di oliva. Che non vi passi per la càpa di usare oliacci di semi. Una volta che l'olio sarà bello caldo, sistemate le croste nella padella, prima dal lato "formaggio"; ma vanno rigirate dopo poco, perché sennò il formaggio si scioglie. Quando le avrete messe sul lato "crosta dura", fatele andare un po' di più in modo che si ammorbidisca. Tiratele fuori quando la crosta avrà sbollato e avrà assunto la consistenza bruciacchiata che è la vera delizia assoluta di questa cosa. Ricordate: vanno mangiate immediatamente e senza indugio, sennò si induriscono di nuovo in poco tempo e vi tocca rifriggerle. Per questo motivo, a volte, se sono un bel po' io le friggo a "mandate" di due.

Ci si beve sopra un vinaccio rosso, quello che ci avete in casa. Non ci bevete mai sopra acqua, perché, come nel caso della fonduta svizzera, fa "pancone" nello stomaco e digerirete con dolore biblico.

venerdì 18 ottobre 2013

6. Pollo alla birra "CPA style"


Ingredienti per 1 persona:

- 1 pollo intero
- Salvia molto abbondante
- ca. 1 litro e mezzo di birra rigorosamente alcolica
- Olio di oliva abbondante
- Sale

Gli era, a dire il vero, un bel po' di tempo che non ci si vedeva quaggiù sulle "Ricette Asociali"; ma essendo, appunto, asociali esse si riservano il sacrosanto diritto di pubblicarsi quando par loro e piace. Come state? Tutto bene? Avete intanto preparato le ricettine che vi ho fornito? Ne avete riportato i debiti danni gastrici? Ok, rieccomi dunque, e stavolta con una ricetta che, invero, non è mia anche se proviene da un luogo che frequento regolarmente: il CPA Firenze Sud. Ovviamente, pur essendo comunque abbondati, non ho riportato le dosi in uso al centro sociale autogestito, dove si mettono regolarmente a tavola decine di persone; qui, come si sa, vige il principio dell'asocialità monodose. Con questa ricetta, peraltro, inizierà una "categoria" dove verranno riportati i capisaldi culinari in uso in via di Villamagna. 

Prendete il pollo intero e trattatelo malissimo, perche va letteralmente fatto a pezzi. Al CPA ci si serve del coltellone a mannaja, tirandogli sul tagliere de' colpi terrificanti; se non lo avete, trovate il coltello più grosso che ci avete e fate conto di averci sul tagliere, che so io, Giovanardi. I pezzi di pollo devono essere di media grandezza; né troppo grossi, né troppo piccoli. Se sono troppo piccoli, si sfanno durante la cottura (che è lunga); se sono troppo grossi, tanto varrebbe mettere a cuocere il pollo intero e no che non si fa così, perbacco.

Una volta giustiziato il pollo (se volete, al posto di Giovanardi potete metterci Emanuele Filiberto di Savoja o chiunque vi pare), prendete un tegame piuttosto grosso. Qui c'è la questione dell'olio; se avete un tegame antiaderente dev'essere abbondante, ma non esagerato. Se invece non lo avete antiaderente, dovete metterci una quantità esagerata d'olio d'oliva, perché sennò il pollo attacca che è un bigiù e va a finire che ci tirate dei mòccoli a quel cristodiddìo da farlo scendere dalla croce. In ogni caso, se avete intenzione di risparmiare olio questa non è la ricetta per voi e fatevi un Quattro Salti in Padella e magari anche in Cvlo.

Nel frattempo avrete pulito tanta, tanta salvia. Anche per la salvia vale la regola dell'estrema abbondanza: ce ne vuole davvero parecchia. Una volta scaldato quel mare d'olio che galleggia nel tegame, infilateci il pollo giovanardato alla mannaja, il quale deve rosolare tutto e ammodino. Non ci devono, insomma, essere pezzi non rosolati. Giratelo quindi abbastanza spesso e, per ora, salatelo poco.

Quando sarà rosolato, è l'ora di metterci la (tanta) salvia; fate amargamàlla e risalate il tutto girando per un paio di minuti. Poi pigliate la birra, tenendo presente che non importa che sia superbirra artigianale prodotta in edyzione lymitata e myllesimata, e nemmeno birra trappista belga: va bene anche la birraccia da muratori, anzi benissimo, ma basta che sia alcolica. Non fate come il sottoscritto, che qualche giorno fa ha comprato per sbaglio un troiaio di birra analcolica, che non sa veramente di una sega e che non insaporisce il pollo. Buttatela nel tegame senza pietà, ché è anche bellina perché fa tutta la schiuma che sfrigola: il pollo e la salvia devono essere ricoperti completamente. Se un litro e mezzo non basta, ce ne mettete ancora. Non si scampa.

A questo punto, accendetevi la pipa e aspettate, perché dovrete abbassare un po' la fiamma e aspettare che la birra evapori quasi tutta. Naturalmente girate quando bisogna, e casomai aggiustate di sale. Il fuoco dev'essere spento quando è rimasto nel tegame un fondo condensato di birra sufficiente a fare da "salsina"; il resto sarà stato assorbito dal pollo assieme all'aroma salviàtico. A questo punto il tutto è pronto e servitevi in tavola, senza un cazzo di nessuno e godendovi su RAI Storia una bella puntata di "90° Minuto" del 1978 con Tonino Carino, Luigi Necco, Giorgio Bubba e Ferruccio Gard.

So che vi sembrerà del tutto incredibile, ma il pollo alla birra si accompagna con la birra. Magari un po' piu' buona; al discount, ad esempio, si vendono delle birre polacche in lattina veramente ottime se si ha soltanto l'accortezza di non provare a pronunciarne il nome.

domenica 17 febbraio 2013

5. Sauce Ravachole



Ingredienti per 1 vasetto:

- 5 peperoncini freschi verdi molto piccanti
- 3 cucchiaini di peperoncino rosso in polvere
- 1 cucchiaino e mezzo di pepe nero in grani interi
- 2 cucchiaini di capperi
- 4 o 5 olive taggiasche sott'olio
- normalissimo aceto di vino NON "balsamico"
- olio di oliva stravèrgine q.b.
- sale

Questa salsina ha la simpatica caratteristica di essere ambivalente: la si può infatti usare su quello che volete (carni lessate, verdure, per condire la pasta ecc.) -sempre naturalmente che vogliate provare un'emozione parecchio forte-, ma anche come ottima bottiglia molotov e/o arma di difesa personale. Un vasetto di questa robina qui tirato in faccia a qualcuno ha meravigliosi effetti deterrenti; del resto, se la sbirraglia è dotata dello "spray al peperoncino", perché non rispondere direttamente col peperoncino al naturale? Da qui il nome di "Sauce Ravachole" che gli ho dato. Sinceramente, sono cosciente che ben pochi potranno sopravvivere a un cucchiaino; ma resta da dimostrare che me ne importi qualcosa, che sopravviviate.

Si comincia con una raccomandazione: al termine di tutta la preparazione non toccate nulla (soprattutto, resistete ad un eventuale prurito alle parti basse e non grattatevi) e andate di corsa a lavarvi le mani con abbondante acqua diàccia e sapone di Marsiglia. Detto questo, avrete cominciato col tagliare i peperoncini verdi freschi a rondelle, tenendo rigorosamente i semi che scapperanno via perché non dovete perderne uno e buttarlo nel vasetto. Una volta effettuata l'operazione, li sistemate nel vasetto pigiandoli un po' se necessario. Nel vasetto aggiungete un paio di prese o tre di sale, i tre cucchiaini di peperoncino rosso in polvere (che creerà un bell'effetto cromatico oltre a fungere da miccia) e il cucchiaino di pepe nero in grani interi. A questo punto irrorate di aceto (diciamo un cucchiaio e mezzo da cucina), aggiungete i capperi e le olive taggiasche (o comunque nere), e chiudete bene il barattolo per agitarlo una ventina di secondi tipo shakerata. Quando tutto si sarà abbastanza amalgamato, riaprite il barattolo e ricopritelo d'olio d'oliva fino al bordo; richiudete bene, agitate di nuovo per un'altra ventina di secondi e lasciate il barattolo, ricoperto con un panno, da una parte tranquilla per una settimana o dieci giorni. Quando sarà pronto fate estrema attenzione al momento di aprirlo, e tanti auguri.

venerdì 15 febbraio 2013

4. Seitan e verdure alla senape e curry


Ingredienti per 1 persona:

- 1 confezione di seitan alla piastra già pronta
- 1 confezione di verdure surgelate (tipo "contorno più" o roba del genere)
- 1 confezione di panna di soia
- Senape in polvere
- Curry piccante
- sale
- olio

Io non sono né vegetariano e né tantomento vegano; però non intendo sottostare né all'ostracismo carnivoro condito con le immancabili frasette idiote (tipo "Io sono in cima alla catena alimentare", vallo a dire in presenza di una tigre del bengala incazzata...), né al talebanismo vegetale. Quindi, se la cucina vegan propone delle cose buone, vale esattamente come le altre. Di fronte al seitan, vale a dire il prodotto del glutine di grano (sconsigliato ovviamente ai celiaci...), molti carnivori si compiacciono alquanto di storcere il nasino; ma è soltanto indice di chiusura mentale e, in non pochi casi, di beceraggine indomita. Saputo cucinare, è buonissimo; qui propongo una mia invenzione che, per altro, è rigorosamente vegan e quindi adatta anche a chi ha fatto quella scelta alimentare.

Il seitan è possibile farselo da soli, ma ci vogliono ore e parecchia pazienza (un giorno o l'altro vi spiegherò come si fa). Sicuramente il seitan fatto in casa è più buono; però al supermercato (tipo Esselunga) lo si trova già fatto e a un prezzo da cristiani (ai negozi "bio", detti anche "gioiellerie del fagiolo", costa un occhio della testa). Procuratevi quindi una confezione di seitan alla piastra, consistente in quattro piccoli medaglioni sotto vuoto, e procedete in questo modo.
Tagliate il seitan a dadini e mettetelo in un piatto da una parte. Nell'oramai famoso simil-wok dell'Ikea (se non ce lo avete, comunque in una padellona antiaderente) mettete un cucchiaio d'olio e poi buttateci le verdurine surgelate (che faranno ovviamente acqua da sé, quindi non importa aggiungerla). Salatele e fate andare a fuoco lento. Nel frattempo, sciogliete due cucchiaini e mezzo di senape in polvere in tre quarti di bicchiere d'acqua tiepida, e buttate il tutto in padella. Rimestando le verdurine insenapate, aggiungete il seitan e mescolate ulteriormente; fate cuocere per cinque o sei minuti; aggiungete poi il curry piccante. La quantità è a piacere, ma non dovrà essere inferiore a un cucchiaio da cucina. Mescolate ancora per due o tre minuti, e servite; è un piatto che, secondo me, si accompagna benissimo a una bella birra forte, tipo la "Karpackie" polacca che si trova al discount.

lunedì 4 febbraio 2013

3. Pasta con le erbette all'Isolottina




Ingredienti per 1 persona:

- 100 g di pasta a piacere (spaghetti, penne rigate, ecc.)
- Origano secco
- Prezzemolo secco
- Erba cipollina secca
- Basilico secco
- Semi di sesamo
- Semi di papavero
- 3 cucchiai di olio
- (Facoltativo) 1 spicchio d'aglio a pezzetti
- (Facoltativo) Peperoncino secco a volontà

In un dato cassetto o sportello di ogni Asociale certificato e garantito si trovano boccette varie di "erbette" e spezie varie: ho come il vago sospetto che il sig. Cannamela di Bologna, fondatore della "premiata ditta" che si occupa di erbe e spezie in boccetta, debba molto del suo successo agli Antifamiglia. La famiglia ha bisogno del gran sugone, del ragù carico, delle complicatissime paste al forno rituali; l'Antifamiglia utilizza quel che c'è. Propongo quindi questa autentica "gloria" dell'Asociale, nata un giorno in cui c'era da svuotare tutta una serie di boccette di roba. La negazione totale del "family day". Precisazione necessaria: le erbette indicate negli ingredienti sono quelle che -di solito- ci metto io; voi, come sempre, fate quel che vi pare evitando però di metterci quell'avanzo di datura stramonium che vi è servito per far fuori l'anziano vicino rompicoglioni, oppure quella presina di aconito (o napello) con cui avete condito l'insalatina casualmente offerta al testimone di Geova. Il nome della pasta è un sentito omaggio al quartiere dove abito e che ha visto nascere questa preparazione fondamentale.

Per la buona riuscita della Pasta con le erbette all'Isolottina è necessario ancora una volta il simil-wok dell'Ikea, ma va bene anche un padellone profondo e antiaderente. Ci vuole parecchio olio: almeno 3 cucchiai. Mentre cuoce la pasta che avete scelto (consiglierei però di evitare le bieche penne lisce, che non pigliano il sugo nemmeno a pigiarle), fate scaldare l'olio (assieme, se volete, all'aglio tritato e al peperoncino; ma va bene anche senza) e buttateci poi, senza nessuna pietà, le erbette secche e i semi in notevole quantità  Si tratta di un particolare decisivo: se non abbondate, la pasta non saprà assolutamente di una segaccia nulla. Se vedete che le erbette formeranno una poltiglia, aggiungete ancora dell'olio; rimestate comunque sempre bene col cucchiaio di legno. Tra le erbette prescelte soltanto una è assolutamente obbligatoria: i semi di papavero, che danno al tutto una piacevolissima consistenza granulosa (e che, peraltro, cacherete interi per un paio di giorni). Per il resto potete sbizzarrirvi variando, togliendo, aggiungendo. Il sughetto va messo dopo 4 minuti al minimo storico; quando la pasta sarà cotta come più vi piace, la scolate, e la buttate in padella aumentando per 30 secondi leggermente il fuoco e mescolando ammodino. Generalmente, la combinazione di erbette dà al tutto un sapore squisitamente amarognolo e croccantiello. Se ce lo mettete, non esagerate mai con l'aglio, sennò sa tutto quanto d'aglio; il peperoncino, invece, ce lo potete mettere come più vi aggrada. La pasta con le erbette, oltre ad essere rapidissima, è il sistema più sicuro per disfarvi di quintali di boccette, sacchettini eccetera; non esitate a far fuori tutto perché, lo ripeto, se non si abbonda non viene bene.

mercoledì 30 gennaio 2013

2. Poulet à la Durruti



Ingredienti per 1 persona:

- 2 fusi di pollo di media grandezza
- 1 barattolo di ceci lessati
- 1 grosso pezzo di salamino piccante (chorizo o altro)
- 1 cipolla rossa (non enorme)
- 1 bicchiere e mezzo di vino bianco
- Sale
- Olio
- (Facoltativo) Peperoncino habanero fresco a volontà.

Se qualcheduno trovasse questa ricetta un po' iconoclasta, gli consiglierei di acquistare un gran bel libriccino: "La cuoca di Buenaventura Durruti - La cucina spagnola al tempo della guerra civile", di Anonimo, con prefazione di Luigi Veronelli (e dico poco), edizioni Derive/Approdi, maggio 2002. La "cuoca di Durruti" si chiamava (o si faceva chiamare) Nadine ed era una giovane militante della Colonna Durruti. Questa cosa qui la ho inventata pensando precisamente a quel libro; ne consiglio un uso abbastanza parco.

Tritate la cipolla rossa con la mezzaluna (o il coltellaccio da cuoco, se ce l'avete e lo sapete usare). In una pentola (possibilmente antiaderente, sennò sorvegliate che non si attacchi ogni cosa) mettete due cucchiai d'olio, fate scaldare e mettete a cuocere i due fusi di pollo. Il bicchiere e mezzo di vino bianco va aggiunto abbastanza presto; se procedete in una pentola non antiaderente, potete dopo un po' aggiungerne altro oppure, nei casi più morigerati, un po' d'acqua (io séguito col vino, va da sé). Fate cuocere il pollo ancora un po'; nel frattempo, canticchiando rigorosamente El tren blindado, El ejército del Ebro e Los cuatro generales, tagliate il salamino piccante prima a fette e poi a pezzetti (da ogni rondella di salamino ricavate quattro pezzi). A tale riguardo, dato che siamo idealmente nella Spagna del '36, sarebbe bene averci del chorizo piccante (si trova, si trova); ma va bene anche quello normale in vendita a ogni supermercato, anche se prodotto a Pontassieve. Una volta eseguita questa operazione, controllate che in pentola vada tutto bene, scolate i ceci e buttateceli dentro salando a piacere. Date una mescolata, rigirate i fusi di pollo, e poi aggiungete anche il salamino piccante a pezzetti. Mettere a fuoco piuttosto lento e aspettare che il pollo sia cotto bene, dato che il pollo mezzo crudo avrebbe fatto incazzare non poco anche Durruti (cosa non particolarmente consigliabile). A metà cottura circa, chi vuole può passare a rendere infernale questa preparazione, aggiungendo peperoncino habanero a volontà; a tale riguardo, dovrà essere rigorosamente fresco. Si abbina bene a un vino bianco fermo e secchissimo, e se ci aveste il porrón sarebbe il massimo.



martedì 29 gennaio 2013

1. Spaghetti alla Giorgiogaber



Ingredienti per 1 persona:


- 100 grammi di spaghetti qualsiasi (anche integrali)
- 2 salsicce fresche di media grandezza (oppure 1 salsiccia tipo Fumagalli)
- Mollica di pane di qualche giorno (ma non ancora indurito, ovviamente)
- Mezza cipolla bianca
- Mezzo bicchiere di vino rosso (non dolciastro)
- Olio 

Si chiamano “alla Giorgiogaber” per un motivo assai semplice: il giorno che li ho inventati, circa un paio d'anni fa, non sapevo proprio che cazzo farmi, stavo ascoltando una canzone di Giorgio Gaber e non ci avevo altro che un avanzo di spaghetti, due salsicce in frigorifero e un po' di pane di due giorni prima. Come vino ho utilizzato un preziosissimo merlot del discount, euro 1,25, e me n'è avanzato anche un bicchierozzo per il pranzo; ma va bene qualsiasi vino rosso in bottiglia che non sia dolciastro (evitare quindi il Tavernello o roba del genere: piuttosto fatene a meno).



Si mette a cuocere la pasta (immagino che lo sappiate fare, ma non salate troppo l'acqua ché con le salsicce la pasta poi viene già abbastanza salata di suo), mentre in una padella (meglio se avete anche il simil-wok dell'Ikea, ma va bene anche un padellone profondo qualsiasi) mettete un cucchiaio e mezzo d'olio e lo scaldate un pochino. Ci buttate prima la mezza cipolla tagliata come più vi piace (tritata, a fettine...), e la fate imbiondire; poi ci spezzate grossolanamente dentro le due salsicce (o l'unica "Fumagalli"), a mano,  e le fate cuocere per circa 3/4 minuti spezzandole meglio via via col mestolo di legno.

Mentre gli spaghetti cuociono, buttate in padella il mezzo bicchiere di vino rosso, e lo fate "tirare" un po': nel frattempo avrete sbriciolato la mollica di pane (ce ne potete mettere quanta vi pare), facendo attenzione a usare pane non molliccione: dev'essere duretto ma "lavorabile". Il vino deve tirare un po' perché sennò vi succede quel che è successo a me la prima volta, tra numerosissime bestemmie a quel cristaccio d'iddìo: la mollica si inzuppa di vino e diventa una specie di poltiglia dall'aspetto disgustoso e flaccido come, appunto, Vincenzo Mollica. Se, invece, il vino è tirato bene la mollica resta bella asciutta come dev'essere. Fate cuocere ancora il sugo finché la mollica non si "tosta", poi mettete il fuoco al minimo storico.

Una volta scolata la pasta, buttatela in padella e mischiatela a fuocherello accesso finche tutto non sarà bene amalgamato. Beveteci sopra vino rosso di quello che ci avete, e non vi azzardate nemmeno per scherzo a metterci il formaggio grattugiato.

Ricette Asociali: Introduzione


Da oggi l'Asocial Network si arricchisce: dopo il blog principale, le tregge e la gatta Pampalea, ecco le ricette di cucina. A dire il vero, l'idea mi "covava" da un bel po' di tempo; però le mie cove durano parecchio e devono passare per tutta una serie di fasi. La fase decisiva è, peraltro, sempre la solita: consiste nella domandona, ma chi te lo fa fare di aprire un altro blog? In un mondo oramai dedito a Facebook, Twitter e ad altri social networks, in effetti, la forma "blog" sta già declinando. Il blog è una pagina bianca, e la pagina bianca fa sempre più paura dato che è necessario riempirla con qualcosa che non siano gli oramai universali centoquaranta caratteri di idiozie. Io, però, proseguo imperterrito e anche nella forma che mi è del tutto congeniale: quella del totale rifiuto dell' "interazione virtuale" e della "comunicazione in Rete". Come vale per gli altri blog dell'Asocial Network, anche qui i commenti sono bloccati: se volete dirmi qualcosa, scrivetemi un'e-mail o telefonatemi. Contatto diretto e senza mediazioni zuckerberghiane. Anche per quanto riguarda le ricette di cucina.

Fatto il preambolo, parliamo brevemente di questo nuovo blog. 

Io sto da solo (con un gatto nero che va e viene liberamente, quando gli va e come gli va perché odio mettere in una gabbia qualunque essere vivente), e ci sto benissimo. Fine delle considerazioni simil-filosofiche; alla mia età, la convivenza forzata (e più o meno istituzionalizzata) con un altro essere umano mi risulterebbe assolutamente insopportabile. Naturalmente, tutto questo comporta tutta una serie di cose, tra le quali doversi fare da mangiare; e, debbo dirlo sinceramente, nonostante i miei recenti e non lievi problemi di salute sono rimasto (e rimarrò) una buona forchetta (e un ottimo bicchiere). Non crediate con questo che io mi ritenga un gran cuoco, o cucinatore; tutt'altro. Ho una specie di culto per i limiti personali, e soprattutto per la mia pienissima coscienza di averne e di accettarli. Però, tutto sommato, un po' di cose ho imparato a farle e, soprattutto, ho cercato di sviluppare, anche ai fornelli, l'arte della fantasia e dell'inventiva. Rigorosamente con le cose che ho a disposizione al momento.

Le ricette che troverete in questo blog, quindi, sono tutte create dal sottoscritto (che le ha provate rigorosamente su se stesso, con risultati non di rado orrendi alla prima...). Col tempo, e se la cosa prenderà piede, si potranno accettare anche ricette altrui, ma sempre secondo il medesimo principio. Niente è ripreso da libri, riviste, trasmissioni radiotelevisive, siti Internet o altro; le ricette qui contenute hanno da essere originali.

Un'altro principio basilare sono gli ingredienti comuni, di facilissimo reperimento e di basso costo. Qui dentro non vi sarà mai cucina "di lusso". Particolare risalto avranno gli avanzi, anche di due o tre giorni prima (se siete schizzinosi, quindi, levatevi immediatamente dai coglioni da questo blog e andate a seguire la Clerici).  Si tratta di ricette generalmente molto facili, e anche di rendimento non sempre assicurato. Del resto, ci posterò quel che garba a me e sta a voi decidere cosa fare (cosa della quale, francamente, non me ne frega assolutamente nulla). Traduzione: se sputerete tutto al primo boccone e/o i vostri eventuali commensali vi piglieranno a padellate sul muso, non pigliatevela con me.

Infine, tutte le ricette saranno invariabilmente espresse in dose singola. Per UNA persona. Questo è un libro di cucina prettamente Stirneriano: l'Unico e la sua Cucina. Sarebbe veramente ora di finirla con le dosi espresse tipo "per quattro persone": sempre la solita menata della "famiglia". A tavola si dev'essere per forza almeno in quattro: e formati famiglia, e trepperdùe, e carrellate di stronzate varie. Per questo, nell'intestazione del blog, si specifica a chiare lettere che le ricette sono "Antifamiglia". Niente cenoni natalizi, niente zii a pranzo la domenica, niente bambini rompiscatole (che, casomai, possono essere opportunamente cucinati in mille modi). Quindi, ricette Monodose. Se alle volte a tavola siete in due, raddoppiate la dose. Se siete in tre, la triplicate. Arrivo persino a dire che, se siete addirittura in quattro, la quadruplicate. Che ve l'hanno insegnato, a scuolina, a fare le moltiplicazioni? Ci riesco persino io, che sono sempre stato negato per l'aritmetica...

Non aspettatevi mai grandi cose. Io stesso sono quasi sempre molto critico nei confronti di ciò che faccio, roba da mangiare compresa. Nelle ricette saranno peraltro espressi rigorosamente e esclusivamente i miei gusti (ad esempio, sono abituato da sempre a infilare nelle pietanze quantità enormi di peperoncino, e non ho la minima intenzione di toglierlo o ridurlo). Non intendo "insegnarvi" alcunché, ma se per caso qualcosa vi piacerà ne sarò contento anche se non lo verrò mai a sapere.

Un'ultimissima cosa, sommamente importante: non è certo a caso che ci siano, qui, Max Stirner e l'Anarchist Cookbook. Qui si anarca, e parecchio, anche in cucina. Come Unico sono io, Unici siete pure voi. Più che "ricette", potrete pigliare tutto quel che ci sarà qua dentro come spunti (e spuntini, anche). In breve: fateci quel che volete. Modificate gli ingredienti, se vi va. Agite secondo i vostri gusti come io agisco secondo il mio. Introducete variazioni di ogni genere, queste sono ricette e non ordinanze ministeriali. Buttate via il Talismano della felicità e fregatevene anche della "buona cucina italiana", che è senz'altro buona ma qui si piglia l'argomento da un'angolazione leggermente differente. Eliminate quindi ogni stupidissimo nazionalismo anche dalle pentole e dalle padelle; vedrete quanti begli ibridacci ci saranno qua dentro.

E ora, bando alle ciance e andiamo a incominciare.